REMO SALVADORI – Opening oggi 6 novembre 2024 dalle 18 alle 21 – GALLERIA CHRISTIAN STEIN

REMO SALVADORI – Opening oggi 6 novembre 2024

dalle 18 alle 21 – GALLERIA CHRISTIAN STEIN

Sergio Risaliti

Ogni scultore è destinato a una propria materia di elezione

e ogni materia porta racchiusa in sé la propria vocazione formale. 

https://www.galleriachristianstein.it/exhibition 

La Galleria Stein accoglie un ciclo di nuove opere di Remo Salvadori a partire da mercoledì 6 novembre. Sette sono installate a parete nella sala grande e sono realizzate combinando lamine metalliche, tagliate e piegate, che sovrapposte tra loro generano figure geometriche complesse ma sempre basate sulla forma quadrata che rimane costante. Al centro dello spazio troviamo una struttura composta da diversi elementi che comprendono un cerchio di fili di acciaio intrecciati, quattro campane di vetro colme di acqua e un sottile filo dorato a forma di anello Le opere a parete sono accomunate dal titolo Nel momento e da una pratica che si ripete sempre identica con risultati però sempre differenti a partire dal 1974. Si tratta di un lavoro fatto di squadratura, di tagli e piegature, una ricerca sul pieno e sul vuoto, sulla luce e l’oscurità, sulla ripetizione e la differenza, sui rapporti numerici, le misure e le proporzioni auree. Nel momento è una forma risonante che muta la qualità dello spazio intorno e attiva un’esperienza interiore in stretta connessione con l’aperto e con gli altri. La scelta dei metalli corrisponde a una conoscenza approfondita delle qualità e vibrazioni degli stessi secondo una sapienza millenaria diffusa da nord e sud, est e ovest attraverso l’alchimia, la scienza sacra e l’antroposofia che mettono in collegamento terra e cielo, l’uomo e la sua origine, l’io interiore con il mondo della vita e l’universo infinito. Ogni elemento o materia, ogni metallo o colore, non è inerte e scollegato dal resto, al contrario propaga le sue proprietà e le sue informazioni, come “un lento vortice che partendo dal centro si dilata agli estremi come un’onda di vita” (G. Celant), agendo sul fisico e lo psichico: dal visibile all’invisibile, dal concettuale al concreto, dall’alto al basso, tra materialità e immaterialità. Se sempre identico è il processo generato da una matrice ideale, una griglia, differente è la propagazione attraverso vuoti e pieni, luce e ombra, tra piani aperti e chiusi, tra positivo e negativo, caldo e freddo.

Al centro della sala ci confrontiamo con un’opera composita, costruita come architettura fluida a partire dal cerchio maggiore, quello di Continuo infinito presente, che accoglie al suo interno quattro campane di vetro rovesciate e colmate di acqua fino al bordo estremo. Continuo infinito presente incarna abilità manuale e immaginazione metafisica, vi si riflette la natura eterna di un’energia che propaga e alimenta all’infinito e nel momento presente tempo e spazio, terra e cosmo, visibile e invisibile, luce e oscurità. Come scriveva H. De Balzac: “La Specialità sta nel vedere le cose del mondo materiale come quelle del mondo spirituale nelle loro ramificazioni originarie e conseguenti“. Con Continuo infinito presente Salvadori si rapporta all’energia insita sia nel fare sia nei materiali, ovvero nello scambio energetico che si realizza tra la pratica artistica e la natura delle cose, tra soggetto e oggetto, innescando un rapporto di reciproca conoscenza tra pratica creativa e osservare, tra opera e osservatore. Un modo di essere nel tempo ciclico, come ciclica è la forma del suo Continuo infinito presente: anello di metallo intrecciato senza capo né coda, come l’Uroboros, la figura simbolica dell’eterno avvicendarsi delle stagioni, dei giorni e degli istanti. Per Salvadori l’alterità è un soggetto attivo e consustanziale alla relazione tra artista e oggetto creato, come tra artista e mondo. È necessario e fondamentale mantenere in connessione armoniosa ogni livello di vita e ogni dimensione della realtà, dal micro e al macrocosmo e viceversa.

Le campane sono della stessa altezza (70 cm) ma ognuna di esse è di un diametro diverso – dalla più grandi di 52 cm alla più piccola di 37 cm. L’acqua passa dall’immobilità alla vibrazione in superficie e nel profondo che risente di movimenti esterni. Il liquido pare quasi un solido, ma la vita che scorre intorno nella stanza, lo perturba al punto che l’acqua può leggermente sbordare, come un pianto più o meno leggero, come un rigagnolo, una sorgente di vita ulteriore. Le campane sono ognuna di un peso diverso, di una vibrazione e risonanza diversa. Ogni campana è una Lente liquida, così nominata per farci riflettere sulla natura mutevole del divenire e sulla fluidità della nostra sensibilità. I quattro recipienti sono accostati tra loro a formare una stella a quattro punte, riconoscibile nel vuoto generato tra i bordi che si toccano e si stringono come in un abbraccio. Quest’ultima figura è a sua volta circondata e come evidenziata da un anello in oro, un’aureola. La stella è anche il cuore della composizione; il quinto cerchio, quello in oro, significa in questa configurazione, il rapporto con l’assoluto, la correlazione tra la coscienza interiore e la tensione verso l’infinito. Tutto è connesso, le parti creano un insieme, un corpo unico costituito di elementi diversi, che vicendevolmente si trasmettono qualità ed energia, in un vicendevole scambio, come accade al nostro corpo quando è in armonia con l’interno e l’esterno. Salvadori ci ricorda che il nostro corpo fatto di acqua e lo sguardo è rivolto verso l’alto, protende la nostra sensibilità e volontà verso la luce. Nella sua ‘centratura’, questa composizione dialoga con le sette opere a parete che come presenze angeliche sorvegliano e alimentano di sogni e visioni il corpo sensibile. Se i metalli vibrano accogliendo le particelle luminose e restituendole intorno, l’acqua che colma la campana vibra, s’increspa, respira e trema sensibilmente.

Sette non è una scelta casuale; il numero ha una sua valenza simbolica e da tempi remoti ha guidato la mano dell’artista, dell’architetto, del compositore nell’immaginazione e produzione delle proprie creazioni. Sette sono i colori dell’arcobaleno e i pianeti che influenzano dal cielo le nostre scelte, il carattere personale e magari l’umore, agendo sia sul piano fisico che eterico. Mercurio, ali ai piedi, messaggero degli dei, vola veloce nello spazio ed è psicopompo; a Marte bellicoso spetta il fuoco; a Giove l’aria e a Saturno, influente sull’umore e la fantasia del genio creativo, si associa la terra. A questi quattro vanno aggiunte le tre fasi lunari: il plenilunio o Sole, il crescente o Luna, il novilunio o Venere che è leggera e chiara come l’aria. Al sette facevano riferimento i primi sacerdoti che impostavano le sacre cerimonie e le meditazioni su ritmi settenari in connessione con la scienza degli astri. Rispettando questi cicli si seminava e si potavano le piante, si innestava e si raccoglievano i frutti della terra. Tutto era connesso e le corrispondenze guidavano la mano e indirizzavano lo sguardo. Sul modello dei sette pianeti visibili in cielo si è amato scandire la durata di un’esistenza tra nascita e morte, “la vita dall’infanzia alla vecchiaia, il giorno dal sonno dell’alba all’assopimento serale, la malattia dal prodromo alla crisi”, come scrive Elémire Zolla. Ai sette pianeti corrispondono i sette metalli: oro, argento, mercurio, rame, ferro, stagno e piombo. Ci sono dei canali invisibili e miracolosi che trasferiscono, dall’alto dei cieli al basso della terra, qualità e poteri, benefici, energia positiva o negativa a seconda dell’uso e delle finalità. Ci abbagliano tanto il Sole oro che il Sole nero, l’occulto pianeta che è Saturno, cioè piombo, che né luce né radiazioni lo possono attraversare. Marte è il ferro caldo e secco. L’argento è la fredda luna che poi è anche Proserpina o Diana; ecco poi Mercurio liquido e Venere-rame, il più prossimo all’oro che mescolato all’arsenico s’imbianca come l’argento. Si scava nelle viscere della terra per portarlo nella forgia, ed è umido e freddo, per altri, umido e caldo, perpetuando lo stesso dubbio sulla natura del pianeta. Venere-rame è emanazione, femminilità, corrispettiva al sole-oro. Una volta pulito e lucidato, il rame si fa specchio, strumento per eccellenza di Venere. Ma quando amore e desiderio sono troppo rivolti al proprio ego, ecco che l’immagine riflessa può diventare una trappola mortale, l’abisso del narcisismo. Poi viene lo stagno, Giove metallico, umido e caldo, aereo, che guarisce dalla malinconia, quella stretta al petto che incupisce e indebolisce il cuore. E per questo allo stagno si associa il colore arancio, caloroso come la spinta sessuale.

Il legame tra l’artista (classe 1947) e la Stein risale al 1988, anno della prima apparizione delle opere di Salvadori – toscano di nascita ma milanese di adozione – nella prima sede della galleria a Torino. Da allora si sono susseguite quattordici esposizioni, tra collettive e personali, fino al 2017, l’ultima allestita negli spazi Stein in Pero, a testimoniare la solidità di questo rapporto. La galleria Stein è stata per Salvadori luogo di affinità elettive, con artisti di generazioni a lui precedenti e con i suoi contemporanei. Le esposizioni hanno rappresentato un momento di sintesi e di confronto, di apertura e dialogo, in un percorso teso alla costruzione di una pratica artistica che evolvesse nel solco di una tradizione che risale all’umanesimo rinascimentale e si perpetua nel modernismo. Come direbbe il filosofo Wittgenstein, tra il linguaggio di Salvadori e quello di altri artisti, esposti fin dagli anni settanta alla galleria Stein, possiamo ravvisare una ‘certa aria di famiglia’. Comprovata anche da una speciale familiarità di Salvadori con alcuni di essi – Mario e Marisa Merz, Alighiero Boetti – che non era solo di natura artistica, tantomeno di gruppo o ‘corrente’, quanto piuttosto di ordine personale e di matrice interiore, poetica e non certo occasionale, tantomeno ideologica. Da questi incontri e scambi Salvadori sembra raccogliere – come è stato notato da Celant – indicazioni “sulle componenti filosofiche sulle manifestazioni tattili della ricerca artistica degli anni settanta, in particolare l’attenzione al registro ideale e materiale, quanto al processo di metamorfosi dell’oggetto, con la sua morfologia cangiante, derivata dall’atto performativo dell’artefice, quanto dalla mobilità interna della materia… nell’artefatto”. Da qui in poi avrebbe maturato una pratica dell’arte come atto di conoscenza sensibile e di trasmissione creativa dell’invisibile e dell’inconoscibile attraverso le forme e le materie (gli elementi della terra, le figure geometriche ideali) in una sorta rispettosa ma rivelatrice osmosi “tra artefice e artefatto, artista e modello, tra spettatore e opera”.

Per entrare in sintonia con le opere di Salvadori serve allora comprendere come e quando la pratica artistica ‘annodi la terra all’armonia universale’, l’anima individuale all’anima mundi, le linee della vita a quelle delle costellazioni. Che significa, poi, collegare i poli opposti, comprendere le qualità intrinseche dei materiali, la loro energia, ridondanza, influenza, le corrispondenze e connessioni tra i diversi livelli, tra terra e cosmo, tra corpo terreno e corpi celesti. In questo originario ma inesauribile gioco delle parti, rientrano anche le forme e le figure geometriche, cui corrisponde l’azione, ad esempio armonizzatrice e di trasfigurazione delle proporzioni matematiche e dei rapporti aurei. Separare questi livelli, che sono realtà agenti, sostanziali e non accidentali, significa non vedere, non ascoltare, non comprendere: In primo luogo se stessi, perché solo dalla conoscenza del sé scaturisce ogni rapporto con gli altri, con il mondo della vita, con l’intero universo. Ovvero, considerare le forme astratte e geometriche dal solo punto di vista formale significherebbe ridurre la propria esistenza nel cerchio ristretto e triviale dell’arido materialismo e del più cinico e svilente positivismo. Pensare gli elementi, cioè i materiali, dal solo punto di vista materialista e funzionale sarebbe come rinnegare fattori intrinseci, connessioni tra dimensioni fisiche, biologiche e spirituali che anche la più avanzata ricerca scientifica ormai non stenta a riconoscere ed ammettere, come nel caso della fisica quantistica.

Parlare di arte, materiali, forme, di messa in scena, con Remo Salvadori significa superare pregiudizi e timori, superficialità e arroganza, per affrontare profondità e vastità di orizzonti con leggerezza e fiducia, con apertura e curiosità. Per spiegare la disposizione delle opere in mostra mi ha ricordato (2020): “è un evento, un accadimento che trovo sempre nuovo e sorprendente, e così avverto lo stare nel silenzio accanto alle loro corrispondenze”. Ha poi sentito la necessità di fare riferimento a una poetica del “sottosuolo”, con cui poter interpretare “la nostra esistenza umana e la terra come essere vivente, i suoi metalli, la natura della sostanza”. E di ripetere come un mantra alcune parole: “rammentare, ricordare, rimembrare, con mente, cuore e membra, per dare al ‘momento’ la sua giusta presenza, l’essere qui!”

Salvadori parla spesso di ‘momento’, che è un titolo ricorrente per le sue opere. È una parola chiave, che risuona come un movimento musicale, come dire: adagio con sentimento’, oppure ‘lento e poi allegro’. Si tratta di una chiave di accesso alla sua visione del mondo e alla nostra fragile esistenza, che ci viene svelata, accettata e vissuta come passaggio, transito, generoso dispendio. Nel momento assume quindi un senso enorme, si rivela essere un’esperienza e una pratica iniziatica, lascia intendere che giorno dopo giorno il compito personale sta nel comprendere l’essere dell’esserci nel momento, qui e ora, e che nel momento è dato scoprire la chiave di accesso all’essere dell’esserci, più banalmente al “senso della vita” che lui vede al pari degli altri sensi: udito, vista, gusto, olfatto, tatto.

Per Salvadori l’agire quotidiano, le semplici azioni di tutti i giorni, il lavoro nello studio – quello di Via Tadino a Milano o quello sulle colline toscane, a San Zio, vicino a Vinci luogo natale di Leonardo – la preparazione di una mostra, l’allestimento di un’opera, non possono essere o risultare eventi separati. tra loro l’uno con l’’altro Tutto, nella vita come nel lavoro artistico, nell’oggetto opera come nel suo rapporto con il visitatore, è in collegamento e la trasformazione agisce dall’interno verso l’esterno e viceversa, coinvolgendo le persone, creando legami tra di esse, affinità e amicizie, basate anche su comuni filosofie di vita, circolazione di sentimenti e di utopie, con un movimento e un ritmo che è organico, e che ricerca dolcemente e lentamente stabilità e serenità. Un vivere e un operare che nel suo espandersi e concentrarsi ricorda il respiro di Continuo infinito presente e l’apertura rivelatrice di Nel momento.

Le sue opere arrivano in un luogo – casa, museo, piazza, giardino, galleria – come doni. Distribuiscono messaggi benèfici, danno modo di percepire e trascendere oltre, attraverso, al di là, per vuoti e pieni, nella luce e nell’oscurità, tra riverberi e vibrazioni. Un trasmettere e attraversare che va dalla materia al corpo, dal fisico all’immateriale, dalla terra all’anima e al cielo. Ma tanto la pratica giornaliere, quanto quella eccezionale della mostra, richiedono all’artista concentrazione, intensità e silenzio interiore, infatti, la scelta del momento installativo e della porzione di spazio in cui esporre l’opera è sempre singolare e opportuna, esito di una consapevole intuizione e percezione. L’armonia interna alle forme, nascente da una comprensione delle qualità e delle energie proprie a ciascun elemento coinvolto, si espande all’intorno e abbraccia le persone. Una volta installata – a terra o a parete come in quest’occasione – l’opera, le opere vengono a integrarsi nell’ambiente e nel paesaggio circostanti arricchendo armoniosamente il luogo, rigenerando connessioni e legami tra terra e cielo, tra viventi ed elementi fisici, tra cuore e sole, tra battito e respiro, ristabilendo e rinvigorendo la comunicazione profonda tra natura, arte, società, tra l’io e i molti. I titoli ad esempio ci dicono che l’opera è sempre testimone e prova di un accadimento nel presente perché essa è il risultato di un’esperienza verticale e circolare. L’opera, cioè, s’inserisce in un flusso continuo, viene generata nel momento da prima e si riproduce in un dopo, secondo un movimento verticale e circolare, nell’intreccio di tempo e di spazio, di antico e contemporaneo, di universale e di locale.

Ritrovo tra le carte alcuni appunti che forse merita condividere con il visitatore odierno. Scrivevo: “Nel momento è inizio e iniziatico, è una danza visiva che impegna giornalmente il corpo, come fa il danzatore che sempre riparte dalla sua elementare grammatica alla sbarra. Come un pianista ha i suoi tasti e le sue note, così Salvadori maneggia i sette metalli e colori, la squadratura, il taglio e la piegatura, le molteplici infinite combinazioni e variazioni che si generano a ogni nuovo giorno, nel momento. Dal punto di vista linguistico-formale l’opera Nel momento richiama alla sensibilità della mente e del cuore le composizioni modulari di Bach, il suo Clavicembalo ben temperato e le Variazioni Goldberg. Esperienza di un continuo infinito presente rivelato da un disegno geometrico e da un taglio che, piega dopo piega, si da, si riproduce e si rinnova differentemente. Modificando lo spazio si costruisce il tempo, dilatando la dimensione dell’io sperimentiamo la scomparsa dell’ego ora raccolto in un tutt’uno tra respiro cosmico e sentire corporeo. Dall’oscurità allo splendore, dal sensibile al trascendente. Nel momento è un lavoro sul pieno e sul vuoto, sulla luce e il buio. È soprattutto un lavoro sul suono sulla risonanza e la vibrazione. Ogni volta, “nel momento”, è una forma suonata che muta la qualità dello spazio intorno e attiva un’esperienza dell’esserci al mondo in stretta connessione con l’aperto e con gli altri. Il momento presente definisce l’apertura per estensione all’infinito e all’inclusione del vivente tra prossimità e distanza. All’arte il compito di incorporare quanto di altro sta ancora fuori dell’orizzonte soggettivo. Il momento presente dell’arte riunisce i poli separati dell’avvento e dell’epifania. L’infinito è in quella materia che fiorisce in risonante bellezza e luminosa presenza.

Sentire la bellezza, percepire la vibrazione, contemplare la luce, accettare il buio e il negativo, il perturbante e il misterioso, come quando si passeggia in un giardino, come quando si cammina nelle vicinanze del mare, in vicinanza con gli altri Se la materia è in sé luminosa, l’opera di quella luminosità materiale fa presagire e già godere la numinosa matrice immateriale. Se la forma scompare la sua radice è eterna, ci ha lasciato in eredità Mario Merz. E su questa generosa apertura di senso, Remo Salvadori ha costruito il suo meraviglioso, per noi, percorso.

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