Nuovo step del progetto Camere che dall’incontro e dalla combinazione di diverse visioni artistiche, intende attivare nuovi processi di comunicazione e di comunicabilità dell’esperienza artistica.
La sesta edizione di Camere si avvale dell’autorevole contributo curatoriale di Jan Hoet, il Direttore artistico del MARTa Museum di Herford (Germania) nonché protagonista di iniziative memorabili, quale Documenta IX di cui fu Direttore e la mostra “Chambres d’Amis” del 1986 con la quale invitò settanta abitanti della città fiamminga di Gand ad aprire il loro spazio privato ad un’istallazione d’arte, annullando così il limite fra arte e vita quotidiana. Negli spazi di RAM radioartemobile, Jan Hoet ha chiamato all’intervento tre protagonisti del panorama artistico internazionale, Jimmie Durham, Luca Maria Patella, ManfreDu Schu, ognuno dei quali, nel rispetto della propria autonomia di ricerca e di pensiero, propone un’inedita installazione.
L’arte di Jimmie Durham (Arkansas, USA, 1940) fonda le proprie radici nella cultura cherokee, impiegata per decostruire gli stereotipi e i pregiudizi della cultura occidentale, legata a strutture coloniali. La sua ricerca si spinge a esplorare la relazione fra forme e concetti, includendo la capacità delle parole di evocare alla memoria immagini e il potere delle immagini di trasmettere idee. Nel lavoro di Durham le idee vengono stimolate attraverso la giustapposizione e modificazione di una cosa nell’altra. Nascono allora assemblage, installazioni e oggetti che mirano al superamento della pura visibilità in favore di uno spazio concettuale che provoca il continuo slittamento dei significati.
Da metà degli anni Sessanta, Luca Maria Patella (Roma, Italia, 1934) conduce una ricerca analitica su ogni sistema di conoscenza attraverso una pluralità di mezzi e di linguaggi. La sua analisi si caratterizza soprattutto per la valenza psichica, mentale e culturale del proprio approccio. In mostra presenta “gli ‘Arnolfini-Mazzola’ ri guardano RAM / MAR”: due grandi tele fotografiche incorniciate in tondi d’oro raffigurano l’artista e la compagna a Madmountain, la loro casa-studio di Montepulciano. Nella sua opera si crea un effetto tautologico in cui l’artista scopre un universo dentro un altro universo.
Tutta l’opera di ManfreDu Schu (Vienna, Austria, 1956) affonda le proprie radici nella polivalenza del vivente da cui muove per la creazione di nuove scene sperimentali. La complessità della propria ricerca si esprime attraverso una varietà di mezzi di presentazione: pittura, scultura, suono, installazione, azioni, performances. Accanto alle sue decostruzioni fa uso di testo, di parole e vocaboli in cui appare una sicura attitudine dadaista. E’ come se fossero rituali arcaici e una narrazione dell’assurdo.
In questa mostra – scrive Jan Hoet nel testo di presentazione Teatralità Nomade – possiamo parlare di una combinazione di riferimenti dove la messa in scena diventa l’essere privato dell’artista. Dove si può manifestare meglio questa dimensione privata se non a RAM radioartemobile, in cui ogni artista possiede uno suo specifico spazio privato? Dove il visitatore crea un rapporto speciale con lo spazio privato e lo interpreta come il piedistallo dell’opera e perciò lo spettatore si identifica con l’esperienza personale di casa. Sono esperienze dirette in relazione allo spazio e alla sua vita.
In occasione della mostra RAM radioartemobile registra il dibattito tra Jan Hoet e gli artisti che è disponibile nel nostro archivio.