Titolo:

Untitled

Player:
Partecipanti:
Borbetomagus
Città:
New York
Country:
USA
Year:
1993
Durata:
2' 51"
Numerazione:
152.30
Info brano:
The trio Borbetomagus (Jim Sauter and Don Dietrich, saxophones; Donald Miller, guitar) create a concrete sculptures of sound by sheer amplification and by generating feedback - the saxophonists hang microphones in the bells of their horns, then close them
Supporto:
a
Posizione:
05/05
Materiali:
Track 12 del CD 2 "Apollo and Marsyas. An anthology of new music concerts at Het Apollohuis 1980-1997" (T. T. CD1: 73' 44"), editor: Paul Panhuysen. Recorded 14.05.1993.
Informazioni tecniche:
mp3
Descrizione:
I Borbetomagus sono un trio di New York capace di produrre uragani free jazz per due sassofoni (Jim Sauter e Don Dietrich) e chitarra (Donald Miller) distorti da folate elettroniche. I primi due dischi, Borbetomagus (Agaric, 1980) e Work On What Has Been Spoiled (Agaric, 1981), contengono undici Concordats al limite delle possibilita' sonore degli strumenti, bolge di suoni casuali d'intensita' lancinante. Nonostante il suo voler essere terminale, definitiva, insuperabile, la musica mostra una sua progressione logica: l'enfasi feroce e barbara dell'1 e' propedeutica ai barriti spaventosi del 6 e agli stridori spasmodici dell'11. Anche gli album successivi, 3 (Agaric, 1982), che assembla alcune esibizioni dal vivo, e Industrial Strength (Leo 113, 1983), per un ensemble piu' ampio di sette musicisti, tutti improvvisatori, segnano un'evoluzione nello stile, per nulla piu' composto anzi piu' atroce che mai, ma al tempo stesso piu' carico di pathos primitivista. La lunga Barbet Wire Maggot (Agaric, 1983), logica conseguenza di quegli esperimenti, e' il delirio piu' violento del free jazz, una sinfonia di fondi-scala iper-cacofonici ultra-amplificati: la chitarra e' distorta in modo maniacale ed emette soltanto stridori e scordature repellenti, i sassofoni squittiscono e gracchiano su registri assordanti e animaleschi. Suoni tanto estremi vengono fusi in improvvisazioni demenziali durante le quali i musicisti sembrano gareggiare nel provocare i cataclismi sonori piu' efferati. A vincere e' probabilmente Miller nell'assolo devastante e torrenziale che domina il finale. Per quaranta minuti il pandemonio accumula gargarismi e barriti al limite fisiologico delle capacita' uditorie degli esseri umani. Presa coscienza dei loro mezzi, i Borbetomagus possono permettersi di delirare su di essi, di entrare nella fase di un loro personale "barocco". Su Bells Together (Agaric, 1985), una raccolta di duetti fra Sauter e Dietrich, svettano i pigolii maniacali di High I, i gargarismi subsonici di Monk Jimbo On Safari e i glissando spasmodici di Sykes. Il disco, il piu' meditato e ordinato della loro produzione, puo'costituire un valido trait d'union fra gli improvvisatori liberi di Chicago e gli ensemble elettronici. Zurich (Agaric, 1985), con i feedback del chitarrista Donald Miller in bella evidenza, contiene due lunghe, concitatissime suite (Fleetwood DeKooning e Elaine DeFleetwood), che sono fra le loro cose piu' innovative, traboccanti di effetti grotteschi da far arrossire anche Anthony Braxton. Lungi dall'avere uno svolgimento drammatico (come nell'improvvisazione orizzontale del jazz e delle colonne sonore) o dallo stratificare stati d'animo (come nell'improvvisazione verticale del minimalismo e della new age), la loro musica d'improvvisazione totale (come quella dei pittori astratti) esalta la componente puramente ludica, di un'ebbrezza incontenibile. New York Performances (Agaric, 1986) registra altri quattro baccanali d'intensita' tellurica, molto prossimi al frastuono di una battaglia, con il crepitio ininterrotto di infiniti mitragliatori, lo sferragliare stridente di mezzi cingolati e il cupo rombo dei bombardamenti aerei. Borbeto Jam (Cadence, 1985), il condensato di una jam improvvisata in studio dal settetto di Zurigo, aggiunge quattro Concordats al repertorio: il sound si e' alleggerito e rarefatto pur conservando la sua efferata bruttezza (il n.13 e il n.15 sfoggiano i pernacchi e i nitriti di sax e le scordature subsoniche di chitarra piu' suggestivi). Sempre ostili all'idea del ritmo o della melodia, i Borbeto si limitano ad accatastare rumori fastidiosi senza preoccuparsi della struttura. La svolta viene semmai dall'elettronica. Fish That Sparkling Bubble (Agaric, 1987) aggiunge al caos congenito anche un piao di rumoristi esterni, i Voice Crack (Adam Nodelman, Norbert Moslang, Andy Guhl). Ne risultano concerti assordanti per martelli pneumatici, seghe, scosse elettriche, macchinari d'officina, sirene, sul flusso continuo di stridori del trio (We Don't Need No Warrior Goddess, per esempio). Di una violenza senza eguali, la musica fa impallidire i ricordi di Neu e Faust. Valanghe di lava sonora si riversano incandescenti sui maelstrom apocalittici di Vungavunga e un succedersi di fondiscala di abrasivita' misura le tempeste tossiche di My Tongue In Your Cheek. Purge (Agaric, 1989) e Seven Reasons For Tears (Purge 027, 1987) proseguono la saga piu' barbara della storia del jazz. Barefoot In The Head (Force Exposure, 1990), con Thurstone Moore dei Sonic Youth alla chitarra, e' invece l'album meno selvaggio della loro produzione, con una lunga Concerning The Sun As A Cool Solid e un solenne improptu di Moore su Tanned Moon. Il loro motto e' "free jazz free noise free spirits", la loro specialita' sono le esibizioni dal vivo, dove la ferocia non ha praticamente limiti. Usano i sax dissonanti a tutto volume a mo' di generatori di rumore in suite che ricordano tanto i rituali orgiastici dei Throbbing Gristle quanto l'alea di Iannix Xenakis e di Mauricio Kagel. Il loro primitivismo riesce a coniugare la ferocia del Pop Group e il jazz dissonante di Peter Brotzmann. Ma piu' che di primitivismo si tratta di analfabetismo insistito. La barbarie innalzata a civilta'. This double CD-set is the companion to the final book reporting on the activities of Het Apollohuis. The recordings on these CDs give an idea of the music and the sound art presented in concerts at Het Apollohuis in the priod from 1980 through 1997. Out of a total of 500 performances I chose 38, from which exceprts of varying lenght have been included in this anthiology. These have been arranged in chronological order. The diversity of the selected pieces is characteristic of the programme of Het Apollohuis. Only limited number of composers and musicians who performed can be heard in brief fragments o these discs. Consequently a considerable number has been excluded. There simply was no way to include them all (this selection does not imply we value one above the other). The choice of the particular musicians has been my responsability (P: Panhuysen). liner notes: René van Peer sound selection: René Adriaans mastering: Frank Donkersgoed design: Tom Homburg, Marcel d'Anjou (Opera)
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